Cerealia

Tra i cibi dell’antica Roma il pane è uno dei più documentati nelle fonti letterarie, con affreschi e bassorilievi che rappresentano le fasi di preparazione e vendita; anche i pani carbonizzati rinvenuti negli scavi di Pompei analizzati hanno rivelato i loro segreti. Di Plinio il Vecchio sappiamo che il pane era conosciuto relativamente tardi dai Romani, abituati a mangiare pane azzimo e Polta, una zuppa densa fatta di cereali selvatici, legumi e, quando disponibile, carne. Il grano più apprezzato era il farro, mentre la segale e l’avena non erano molto stimati, e l’orzo era considerato adatto solo per schiavi e soldati. Il primo tipo di grano usato per fare il pane era quindi il farro dai cui semi, leggermente tostati e macinati per liberarli dalla pula, i Romani ottenevano la farrina (da qui il termine “farina” per indicare il prodotto della macinazione di qualsiasi grano). Intorno alla fine del V secolo a.C. apparvero nuovi grani duri e morbidi, probabilmente originari della Sicilia e dell’Africa, di qualità superiore e più facilmente rilasciabili dalla pula, che permisero un rapido miglioramento del pane rendendo più morbidi e meno acidi i panini e il pane. L’uso dei mulini ha facilitato la macinazione e i progressi nelle tecniche di vagliatura hanno permesso di differenziare la qualità della farina e della semola. Generalmente il pane romano era noto per la sua durezza, dovuta sia alla farina di scarsa qualità (che assorbe meno acqua della migliore), sia alla scarsa quantità e qualità del lievito utilizzato (preparato una volta all’anno al momento della vendemmia con succo d’uva e impasto di pane). C’erano, tuttavia, numerosi tipi e dimensioni di pane, secondo diversi usi, miscele e metodi di cottura. Con farina di qualità superiore (siliga) è stato prodotto il panis siligineus. A partire dal modo in cui veniva setacciata la farina c’erano il panis cibarius, secundarius, plebeius, rusticus. Un tipo di biscotti che aveva conservato a lungo era il panis militaris castrensis (riservato ai soldati), poi il panis Nauticus (per i marinai); anche piuttosto duro era il panis autopyrus (pieno), e per non parlare del panis furfureus, per i cani! Un tipo più morbido ma non diffuso era il panis parthicus, detto anche aquaticus in quanto spugnoso e in grado di assorbire una maggiore quantità di acqua. Tra i diversi tipi di miscele, quelle in uso nelle zone rurali includevano legumi, ghiande, castagne e altri “poveri” , mentre ce n’erano altri più costosi e raffinati a base di spezie, latte, uova, miele, olio; un pane di lusso era l’artolaganus, con miele, vino, latte, olio, pepe e frutta candita. I vari metodi di cottura hanno dato origine al panis furnaceus (cotto al forno), all’artopticus (cotto in casa sotto vuoto), o al subcinerinus fucacius (cotto sotto la cenere) e al clibanicus, una torta cotta sulla parete esterna di una pentola rovente. C’erano pani di forma allungata e pani rotondi, con incisioni per facilitare la croce per la divisione in quattro parti (quadrae, da cui il panis quadratus). Man mano che le tecniche di macinatura e setacciatura della farina e la preparazione e la cottura del pane diventavano sempre più sofisticate, la produzione passò dalla famiglia a quella “industriale”, grazie al lavoro di abili artigiani (secondo Plinio, a partire dal 171 a.C.). Il nome pistores, originariamente riservato agli schiavi utilizzati per macinare i grani di farro nel mortaio, venne a designare gli attuali panettieri, che all’inizio erano per lo più liberti e cittadini di basso status sociale. I panettieri ottennero quindi privilegi e immunità dalle autorità pubbliche e persino un contributo dello Stato per avviare la loro attività. Essi crearono una propria corporazione, il collegium pistorum, e vennero a stipulare contratti redditizi per la fornitura di pane alle autorità, per la distribuzione gratuita al popolo. Un fornaio allora, poteva anche fare fortuna, come accadde ad esempio al liberto Marco Virgilio Eurisace, la cui tomba in Porta Maggiore ci racconta nei rilievi del fregio le diverse fasi della panificazione, dalla macinatura e setacciatura della farina, all’impasto e alla fabbricazione della cottura del pane. Un monumento speciale per celebrare una delle professioni più antiche e popolari.

(Letizia Staccioli Archeoclub d’Italia, sede di Roma-Direttore Artistico Cerealia Festival)