Titius–Bode legge

Johann Daniel Titius (1729-1796)

Johann Elert Bode (1747-1826)

La prima menzione di una serie di approssimazione la legge di Bode è trovato in Davide di Gregorio Elementi di Astronomia, pubblicato nel 1715. In esso, dice:

“… supponendo che la distanza della Terra dal Sole sia divisa in dieci parti uguali, di queste la distanza di Mercurio sarà di circa quattro, di Venere sette, di Marte quindici, di Giove cinquantadue e quella di Saturno novantacinque.”

Una frase simile, probabilmente parafrasata da Gregorio, appare in un’opera pubblicata da Christian Wolff nel 1724.

Nel 1764, Charles Bonnet disse nella sua Contemplation de la Nature: “Conosciamo diciassette pianeti che entrano nella composizione del nostro sistema solare ; ma non siamo sicuri che non ce ne siano più.”

Alla suddetta affermazione, nella sua traduzione del 1766 dell’opera di Bonnet, Johann Daniel Titius aggiunse due dei suoi paragrafi, in fondo a pagina 7 e all’inizio di pagina 8. Il nuovo paragrafo interpolato non si trova nel testo originale di Bonnet, né nelle traduzioni dell’opera in italiano e inglese.

Ci sono due parti del testo intercalato di Titius. La prima parte spiega la successione delle distanze planetarie dal Sole:

Prendi nota delle distanze dei pianeti l’uno dall’altro e riconosci che quasi tutti sono separati l’uno dall’altro in una proporzione che corrisponde alla loro grandezza corporea. Dividi la distanza dal Sole a Saturno in 100 parti; quindi Mercurio è separato da quattro di queste parti dal Sole, Venere da 4 + 3=7 di queste parti, la Terra da 4+6=10, Marte da 4+12=16. Ma notate che da Marte a Giove arriva una deviazione da questa progressione così esatta. Da Marte segue uno spazio di 4 + 24=28 tali parti, ma finora nessun pianeta è stato avvistato lì. Ma il Lord Architetto avrebbe dovuto lasciare quello spazio vuoto? Affatto. Supponiamo quindi che questo spazio appartenga senza dubbio ai satelliti ancora sconosciuti di Marte, aggiungiamo anche che forse Giove ha ancora intorno a sé alcuni più piccoli che non sono stati ancora avvistati da nessun telescopio. Accanto a questo per noi spazio ancora inesplorato sorge la sfera d’influenza di Giove a 4 + 48 = 52 parti; e quella di Saturno a 4+96=100 parti.

Nel 1772, Johann Elert Bode, di anni venticinque, ha completato la seconda edizione del suo astronomico compendio Anleitung zur Kenntniss des gestirnten Himmels (“Manuale per Conoscere il Cielo Stellato”), in cui si e ‘ aggiunto il seguente nota a piè di pagina, inizialmente unsourced, ma accreditato di Titius nelle versioni successive (e si accentua nel Bode memorie da un riferimento di Titius, con un chiaro riconoscimento della sua priorità):

Quest’ultimo punto in particolare sembra seguire dal sorprendente rapporto, che il noto sei pianeti osservare nel loro distanze dal Sole. Lascia che la distanza dal Sole a Saturno sia presa come 100, quindi Mercurio è separato da 4 di queste parti dal Sole. Venere è 4 + 3=7. La Terra 4 + 6=10. Marte 4+12=16. Ora arriva una lacuna in questa progressione così ordinata. Dopo Marte segue uno spazio di 4 + 24 = 28 parti, in cui nessun pianeta è stato ancora visto. Si può credere che il Fondatore dell’universo abbia lasciato questo spazio vuoto? Certamente no. Da qui arriviamo alla distanza di Giove di 4 + 48 = 52 parti, e infine a quella di Saturno di 4 + 96=100 parti.

Queste due affermazioni, per tutta la loro particolare tipologia e i raggi delle orbite, sembrano derivare da un antico cossista. Sono stati trovati molti precedenti che precedono il diciassettesimo secolo. Titius fu discepolo del filosofo tedesco Christian Freiherr von Wolf (1679-1754). La seconda parte del testo inserito nell’opera di Bonnet si trova in un’opera di von Wolf datata 1723, Vernünftige Gedanken von den Wirkungen der Natur. La letteratura del ventesimo secolo sulla legge Titius–Bode attribuisce la paternità a von Wolf; in tal caso, Titius avrebbe potuto impararlo da lui. Un altro riferimento più antico è stato scritto da David Gregory nel 1702, nel suo Astronomiae physicae et geometricae elementa, in cui la successione delle distanze planetarie 4, 7, 10, 16, 52, e 100 divenne una progressione geometrica del rapporto 2. Questa è la formula newtoniana più vicina, citata da Benjamin Martin e Tomàs Cerdà anni prima della pubblicazione tedesca del libro di Bonnet.

Titius e Bode speravano che la legge avrebbe portato alla scoperta di nuovi pianeti, e in effetti la scoperta di Urano e Cerere — entrambe le cui distanze si adattano bene alla legge — ha contribuito alla fama della legge. La distanza di Nettuno era molto discrepante, tuttavia, e in effetti Plutone — non più considerato un pianeta–si trova a una distanza media che corrisponde approssimativamente a quella prevista dalla legge di Titius-Bode per il prossimo pianeta fuori da Urano.

Quando fu originariamente pubblicata, la legge fu approssimativamente soddisfatta da tutti i pianeti allora conosciuti — cioè, Mercurio attraverso Saturno — con un divario tra il quarto e il quinto pianeta. È stato considerato interessante, ma di nessuna grande importanza fino alla scoperta di Urano nel 1781, che si inserisce nella serie. Sulla base di questa scoperta, Bode esortò i suoi contemporanei a cercare un quinto pianeta. Cerere, l’oggetto più grande della fascia degli asteroidi, fu trovato nella posizione prevista da Bode nel 1801. La legge di Bode fu poi ampiamente accettata fino a quando Nettuno fu scoperto nel 1846 e trovato non conforme alla legge. Allo stesso tempo, il gran numero di asteroidi scoperti nella cintura ha rimosso Cerere dalla lista dei pianeti. La legge di Bode fu discussa dall’astronomo e logico Charles Sanders Peirce nel 1898 come esempio di ragionamento fallace.

La scoperta di Plutone nel 1930 confuse ulteriormente il problema. Anche se in nessun posto vicino alla sua posizione prevista secondo la legge di Bode, era approssimativamente nella posizione che la legge aveva delineato per Nettuno. La successiva scoperta della fascia di Kuiper-e in particolare dell’oggetto Eris, che è più massiccio di Plutone, ma non si adatta alla legge di Bode — ha ulteriormente screditato la formula.